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“In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 1-2; 14).
Dal Prologo del Vangelo di Giovanni “veniamo a conoscere il Signore nostro Gesù Cristo nella sua divinità, in quanto autore di tutta la creazione, nella sua umanità, in quanto restauratore dell’umanità decaduta” (Agostino). Giovanni, con la sintetica, precisa espressione: “E il Verbo si fece carne” esprime perfettamente gli estremi del dogma dell’incarnazione, in cui è contenuta tutta la realtà di Dio e dell’uomo.
Il Natale è anzitutto celebrazione di questo mistero dell’Incarnazione di Dio, mistero che unitamente a quello della Unità e Trinità di Dio, rappresentano l’essenza della fede cristiana. L’incarnazione ha fatto scandalo fin dall’inizio del cristianesimo, suscitando al suo interno la prima eresia, il docetismo, contro cui combatté Tertulliano: “Pretendevano che il Cristo fosse un fantasma, perché reputavano incredibile un Dio fatto carne. Mentivano su quello che era: carne senza carne, uomo senza essere uomo. Perciò un Cristo Dio senza essere Dio”.
La parola del Vangelo ci porta al mistero che trascende ogni intelligenza nello stesso momento in cui ci richiama un evento concreto, anzi l’evento centrale della storia, che da allora si distingue in un prima e dopo Cristo.
“La capacità di stupirsi dell’intelligenza umana è qui completamente superata e la fragilità dell’intendere umano non vede come possa pensare e comprendere che questa potenza così grande della maestà divina, questa Parola del Padre, questa Sapienza di Dio, per la quale è stato creato tutto ciò che è visibile e invisibile, abbia potuto esistere, come bisogna credere, negli stretti limiti di un uomo che è apparso in Giudea, penetrando nel grembo di una donna, nato come un bambino” (Origene).
Per l’Adamo decaduto, l’unica possibilità di innalzarsi nuovamente a Dio era che Dio si abbassasse a lui: “discese dal cielo, si incarnò nel seno della Vergine Maria”. Questa promessa-verità permea ogni pagina della divina Rivelazione: “Tutta l’opera contenuta nei Sacri Libri annuncia con parole, rivela con fatti, fissa con figure esemplari la venuta del nostro Signore Gesù Cristo. Durante lo svolgersi dei tempi,attraverso l’insieme delle profezie tutto ci è stato dato per la conoscenza della futura incarnazione” (Ilario di Poitiers).
Eppure, Colui “che veniva anche prima, sebbene non corporalmente, in ciascuno dei santi, e dopo è venuto tra noi visibilmente” (Origene) “il mondo non lo riconobbe” (Gv 1,10).
Come dobbiamo porci dinnanzi dinanzi al Verbo eterno, l’Unigenito Figlio di Dio fatto carne? Con fede, adorazione e contemplazione. Credere, contemplare, adorare, certamente non con pretesa di comprendere il mistero che supera ogni intelligenza: “ Toccare in qualche modo Dio col pensiero, è grande felicità: comprenderlo è assolutamente impossibile” (Agostino).
Natale è l’inizio di un cammino che Gesù, vero Figlio di Dio e vero Figlio di Maria, percorrerà sulle strade degli uomini. Il Verbo eterno di Dio si è fatto carne per venire ad abitare in mezzo a noi, spinto unicamente dall’amore che vuole la salvezza di tutti, salvezza simboleggiata dalla luce: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9,1). L’apparizione di questa luce si identifica con il “nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo” (Tt 2,13), la cui luce è irradiazione della gloria del Padre. Con lui, “è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini” (Tt 2,11).
Guardando alla Notte Santa in cui Dio si è fatto uomo, la fede cristiana esclama: “Qui è cominciato, qui Dio stesso è uscito tacitamente dal tremendo splendore in cui dimora come Dio e Signore ed è venuto tra noi; è entrato silenziosamente nella capanna della nostra esistenza terrena. Solo chi spegne almeno un po’ le luci terrene che di solito gli impediscono di vedere le stelle del cielo, solo chi in questa silenziosa notte del cuore presta orecchio all’appello dell’ineffabile e muta vicinanza di Dio che parla attraverso il proprio silenzio, purché noi sappiamo ascoltarlo, solo costui celebra degnamente il Natale senza degradarlo a una festa mondana” (Rahner).